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Giovanna si mise a ridere rumorosamente abbandonandosi sulla sedia:

— Ed è vostra moglie che v’impedisce di fumare le dieci sigarette che occorrono?

— Era proprio così! Almeno a me essa lo impediva.

Non era mica sciocca Giovanna, quand’aveva tanto cognac in corpo. Fu colta da un impeto di riso che quasi la faceva cadere dalla sedia, ma quando il fiato glielo permetteva, con parole spezzate, dipinse un magnifico quadretto suggeritole dalla mia malattia: — Dieci sigarette... mezz’ora... si punta la sveglia... eppoi....

La corressi:

— Per dieci sigarette io abbisogno di un’ora circa. Poi per aspettarne il pieno effetto occorre un’altra ora circa, dieci minuti di più, dieci di meno...

Improvvisamente Giovanna si fece seria e si levò senza grande fatica dalla sua sedia. Disse che sarebbe andata a coricarsi perchè si sentiva un po’ di male alla testa. L’invitai di prendere la bottiglia con sè, perchè io ne avevo abbastanza di quel liquore. Ipocritamente dissi che il giorno seguente volevo che mi si procurasse del buon vino.

Ma al vino essa non pensava. Prima di uscire con la bottiglia sotto il braccio mi squadrò con un’occhiataccia che mi fece spavento.

Aveva lasciata la porta aperta e dopo qualche istante cadde nel mezzo della stanza un pacchetto che subito raccolsi: Conteneva undici sigarette di numero. Per essere sicura, la povera Giovanna aveva voluto abbondare. Sigarette ordinarie, ungheresi. Ma la prima che accesi fu buonissima. Mi sentii grandemente sollevato. Dapprima pensai che mi compiacevo di averla fatta a quella