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del povero Copler. Poi, molto rasserenato, mandai a dire a Carla che io restavo il suo buon amico per tutta la vita e che, se essa avesse avuto bisogno di un appoggio, avrebbe potuto rivolgersi liberamente a me. Così potei mandarle il mio indirizzo ch’era quello dell'ufficio di Guido.

Partii con un passo molto più elastico di quello che m’aveva condotto colà.

Ma quel giorno ebbi un violento litigio con Augusta. Si trattava di cosa da poco. Io dicevo che la minestra era troppo salata ed essa pretendeva di no. Ebbi un accesso folle d’ira perchè mi sembrava ch’essa mi deridesse e trassi a me con violenza la tovaglia così che tutte le stoviglie dalla tavola volarono a terra. La piccina ch’era in braccio della bambinaia si mise a strillare, ciò che mi mortificò grandemente perchè la piccola bocca sembrava mi rimproverasse. Augusta impallidì come sapeva impallidire lei, prese la fanciulla in braccio e uscì. A me parve che anche il suo fosse un eccesso: mi avrebbe ora lasciato mangiare solo come un cane? Ma subito essa, senza la bambina, rientrò, riapparecchiò la tavola, sedette dinanzi al proprio piatto nel quale mosse il cucchiaio come se avesse voluto accingersi a mangiare.

Io, fra me e me, bestemmiavo, ma già sapevo d’essere stato un giocattolo in mano di forze sregolate della natura. La natura che non trovava difficoltà nell’accumularle, ne trovava ancor meno nello scatenarle. Le mie bestemmie andavano ora contro Carla che fingeva di agire solo a vantaggio di mia moglie. Ecco come me l’aveva conciata!

Augusta, per un sistema cui rimase fedele fino ad