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reva prodotta dallo scalpello in un marmo colorato e nessuno avrebbe potuto prevedere che vi sovrastasse imminente la putrefazione. Era tuttavia una vera vita che quella faccia manifestava: disapprovava sdegnosamente forse me, l’ammalato immaginario, o fors’anche Carla, che non voleva cantare. Trasalii un momento sembrandomi che il morto ricominciasse a rantolare. Subito ritornai alla mia calma di critico quando m’accorsi che quello che m’era sembrato un rantolo non era che l’ansare, aumentato dall’emozione, del pensionato.
Il quale poi m’accompagnò alla porta e mi pregò di raccomandarlo se avessi conosciuto chi avrebbe potuto aver bisogno di un quartierino come quello:
— Vede che anche in una circostanza simile ho saputo fare il mio dovere e anche più, molto di più!
Alzò per la prima volta la voce in cui echeggiò un risentimento ch’era senza dubbio destinato al povero Copler che gli aveva lasciato libero il quartiere senza il debito preavviso. Corsi via promettendo tutto quello che voleva.
Da mio suocero trovai che la compagnia s’era messa in quel momento a tavola. Mi domandarono delle notizie ed io, per non compromettere la gaiezza di quel convitto, dissi che il Copler viveva tuttavia e che c’era dunque ancora qualche speranza.
A me parve che quell’adunanza fosse ben triste.
Forse tale impressione si fece in me alla vista di mio suocero condannato ad una minestrina e ad un bicchiere di latte, mentre attorno a lui tutti si caricavano dei cibi più prelibati. Aveva tutto il suo tempo libero, lui, e lo impiegava per guardare in bocca agli altri. Veden-