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nuamente, avesse raccontato al Copler del fastidio che risultava a Carla dalle lezioni di canto. Il Copler se ne adirò con Carla e questa se la prese con la madre.
Ed è così che quando la mia deliziosa amante finalmente mi raggiunse, io l’amai violentemente e irosamente. Essa, incantata, balbettava:
— E io che dubitavo del tuo amore! Il giorno intero fui perseguitata dal desiderio di uccidermi per essermi abbandonata ad un uomo che subito dopo mi trattò così male!
Le spiegai che spesso io venivo preso da gravi mali di testa e, quando mi ritrovai nello stato che, se non avessi valorosamente resistito, m’avrebbe ricondotto di corsa da Augusta, riparlai di quei mali e seppi domarmi. Andavo facendomi. Intanto piangemmo insieme il povero Copler; proprio assieme!
Del resto Carla non era indifferente all’atroce fine del suo benefattore. Parlandone si scolorì:
— Io so come son fatta! — disse. — Per lungo tempo avrò paura di restare sola. Da vivo già mi faceva tanta paura!
E per la prima volta, timidamente, mi propose di restare con lei la notte intera. Io non ci pensavo neppure e non avrei saputo prolungare nemmeno di mezz’ora il mio soggiorno in quella stanza. Ma, sempre attento di non rivelare alla povera fanciulla il mio animo di cui ero il primo io a dolermi, feci delle obbiezioni dicendole che una cosa simile non era possibile perchè in quella casa c’era anche sua madre. Con vero disdegno essa arcuò le labbra:
— Avremmo trasportato qui il letto; la mamma non s’arrischia di spiarmi.