Pagina:Svevo - La coscienza di Zeno, Milano 1930.djvu/237

234

cia. Infine Carla aveva accettato quel bacio come una promessa di affetto e sopra tutto di assistenza.

Quel giorno a tavola, però, cominciai veramente a soffrire. Tra me e Augusta stava la mia avventura, come una grande ombra fosca che mi pareva impossibile non fosse vista anche da lei. Mi sentivo piccolo, colpevole e malato, e sentivo il dolore al fianco come un dolore simpatico che riverberasse dalla grande ferita alla mia coscienza. Mentre distrattamente fingevo di mangiare, cercai il sollievo in un proposito ferreo: «Non la rivedrò più — pensai — e se, per riguardo, la dovrò rivedere, sarà per l'ultima volta». Non si pretendeva poi mica tanto da me: un solo sforzo, quello di non rivedere più Carla.

Augusta, ridendo, mi domandò:

— Sei stato dall’Olivi che ti vedo tanto preoccupato?

Mi misi a ridere anch’io. Era un grande sollievo quello di poter parlare. Le parole non erano quelle che avrebbero potuto dare la pace intera perchè per dire quelle sarebbe occorso di confessare eppoi promettere, ma, non potendo altrimenti, era già un bel sollievo di dirne delle altre. Parlai abbondantemente, sempre lieto e buono. Poi trovai ancora di meglio: parlai della piccola lavanderia ch’essa tanto desiderava e che io fino ad allora le avevo rifiutata, e le diedi subito il permesso di costruirla. Essa fu tanto commossa del mio non sollecitato permesso che si alzò e venne a darmi un bacio. Ecco un bacio ch’evidentemente cancellava quell’altro, ed io mi sentii subito meglio.

Fu così ch’ebbimo la lavanderia e ancora oggidì, quando passo dinanzi alla minuscola costruzione, ricordo che Augusta la volle e Carla la consentì.