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fezione occorra qualche cosa d’altro e sono venuto a portarglielo.
Quale potenza aveva tuttavia nel mio animo il pensiero di Augusta, se continuavo ostinatamente a protestare di non essere stato trascinato dal mio desiderio!
Carla stette a sentire le mie parole lusinghiere, ch’essa non era neppure al caso di analizzare. Non era molto colta, ma, con mia grande sorpresa, compresi che non mancava di buon senso. Mi raccontò ch’essa stessa aveva dei forti dubbii sul suo talento e sulla sua voce: sentiva che non faceva dei progressi. Spesso, dopo una certa quantità di ore di studio, essa si concedeva lo svago e il premio di cantare «La mia Bandiera» sperando di scoprire nella propria voce qualche nuova qualità. Ma era sempre la stessa cosa: non peggio e forse sempre abbastanza bene come le assicuravano quanti la udivano ed io anche (e qui mi mandò dai suoi begli occhi bruni un lampo mitemente interrogativo che dimostrava com’essa avesse bisogno di essere rassicurata sul senso delle mie parole che ancora le sembravano dubbie) ma un vero progresso non c’era. Il maestro diceva che in arte non c’erano progressi lenti, ma grandi salti che portavano alla mèta e che un bel giorno essa si sarebbe destata grande artista.
— E’ una cosa lunga, però, — aggiunse guardando nel vuoto e rivedendo forse tutte le sue ore di noia e di dolore.
Si dice onesto prima di tutto quello ch’è sincero e da parte mia sarebbe stato onestissimo di consigliare alla povera fanciulla di lasciare lo studio del canto e divenire la mia amante. Ma io non ero ancora giunto