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vera fanciulla la quale veniva già sovvenzionata da me insieme ad altri, per suo mezzo, con un piccolo mensile. Bisognava far presto per approfittare di una buona occasione. Non seppi esimermi, ma, un po’ di malagrazia, osservai che avrei fatto un buon affare se quel giorno non fossi uscito di casa. Io sono di tempo in tempo soggetto ad accessi di avarizia.

Il Copler prese il denaro e se ne andò con una breve parola di ringraziamento, ma l’effetto delle mie parole si vide pochi giorni appresso e fu, purtroppo, importante. Egli venne ad informarmi che il pianino era a posto e che la signorina Carla Gerco e sua madre mi pregavano di andar a trovarle per ringraziarmi. Il Copler aveva paura di perdere il cliente e voleva legarmi facendomi assaporare la riconoscenza delle beneficate. Dapprima volli esimermi da quella noia assicurandolo che ero convinto ch’egli sapesse fare la beneficenza più accorta, ma insistette tanto che finii con l’accondiscendere:

— E’ bella? — domandai ridendo.

— Bellissima — egli rispose — ma non è pane per i nostri denti.

Curiosa cosa che egli mettesse i miei denti assieme ai suoi, col pericolo di comunicarmi la sua carie. Mi raccontò dell’onestà di quella famiglia disgraziata che aveva perduto da qualche anno il suo capo di casa e che nella più squallida miseria era vissuta nella più rigida onestà.

Era una giornata sgradevole. Soffiava un vento diaccio ed io invidiavo il Copler che s’era messa la pelliccia. Dovevo trattenere con la mano il cappello che altrimenti sarebbe volato via. Ma ero di buon umore, per-