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muoversi traverso la spianata, la coperta sotto il braccio, ansante ma ridendo, mentre ci mandava il suo saluto.
— Vedi com’è fatto l’ammalato reale? — disse il Copler che non sapeva liberarsi dalla sua idea dominante. — E’ moribondo e non sa d’essere ammalato.
Parve anche a me che l’ammalato reale soffrisse poco. Mio suocero e anche il Copler riposano da molti anni a Sant’Anna, ma ci fu un giorno in cui passai accanto alle loro tombe e mi parve che per il fatto di trovarsi da tanti anni sotto alle loro pietre, la tesi propugnata da uno di loro non fosse infirmata.
Prima di lasciare il suo antico domicilio, il Copler aveva liquidati i suoi affari e perciò come me non ne aveva affatto. Però, non appena lasciato il letto, non seppe star tranquillo e, mancando di affari propri, cominciò ad occuparsi di quelli degli altri che gli parevano molto più interessanti. Ne risi allora, ma più tardi anch’io dovevo apprendere quale sapore gradevole avessero gli affari altrui. Egli si dedicava alla beneficenza ed essendosi proposto di vivere dei soli interessi del suo capitale, non poteva concedersi il lusso di farla tutta a spese proprie. Perciò organizzava delle collette e tassava amici e conoscenti. Registrava tutto da quel bravo uomo d’affari che era, ed io pensai che quel libro fosse il suo viatico e che io, nel caso suo, condannato a breve vita e privo di famiglia com’egli era, l’avrei arricchito intaccando il mio capitale. Ma egli era il sano immaginario e non toccava che gl’interessi che gli spettavano, non sapendo rassegnarsi di ammettere breve il futuro.
Un giorno mi assalì con la richiesta di alcune centinaia di corone per procurare un pianino ad una po-