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marmoree, dall’indignazione. Quella non dimenticai più e quando penso al mio amore e alla mia giovinezza, rivedo la faccia bella e nobile e sana di Ada nel momento in cui essa m’eliminò definitivamente dal suo destino.
Ritornarono tutti in gruppo intorno alla signora Malfenti che teneva in braccio Anna ancora piangente. Nessuno si occupò di me o di Ada ed io, senza salutare nessuno, uscii dal salotto; nel corridoio presi il mio cappello. Curioso! Nessuno veniva a trattenermi. Allora mi trattenni da solo, ricordando ch’io non dovevo mancare alle regole della buona educazione e che perciò prima di andarmene dovevo salutare compitamente tutti. Vero è che non dubito io non sia stato impedito di abbandonare quella casa dalla convinzione che troppo presto sarebbe cominciata per me la notte ancora peggiore delle cinque notti che l’avevano preceduta. Io che finalmente avevo la chiarezza, sentivo ora un altro bisogno: quello della pace, la pace con tutti. Se avessi saputo eliminare ogni asprezza dai miei rapporti con Ada e con tutti gli altri, mi sarebbe stato più facile di dormire. Perchè aveva da sussistere tale asprezza? Se non potevo prendermela neppure con Guido il quale se anche non ne aveva alcun merito, certamente non aveva nessuna colpa di essere stato preferito da Ada!
Essa era la sola che si fosse accorta della mia passeggiata sul corridoio e, quando mi vide ritornare, mi guardò ansiosa. Temeva di una scena? Subito volli rassicurarla. Le passai accanto e mormorai:
— Scusate se vi ho offesa!
Essa prese la mia mano e, rasserenata, la strinse. Fu un grande conforto. Io chiusi per un istante gli oc-
SVEVO — La coscienza di Zeno — 11 |