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già indovinato che qualcuno aveva indossata la parrucca di mio nonno.

Rise, soddisfatto, dicendomi:

— Siete molto robusto, voi! Avrei dovuto indovinare che il tavolo veniva mosso dal solo altro uomo della compagnia.

M’ero dimostrato più forte di lui, infatti, ma presto dovetti sentirmi di lui più debole. Ada mi guardava con occhio poco amico e m’aggredì, le belle guancie infiammate:

— Mi dispiace per voi che abbiate potuto credervi autorizzato ad uno scherzo simile.

Mi mancò il fiato e, balbettando, dissi:

— Volevo ridere! Credevo che nessuno di noi avrebbe presa sul serio quella storia del tavolino.

Era un po’ tardi per attaccare Guido ed anzi, se avessi avuto un orecchio sensibile, avrei sentito che, mai più, in una lotta con lui, la vittoria avrebbe potuto essere mia. L’ira che Ada mi dimostrava era ben significativa. Come non intesi ch’essa era già tutta sua? Ma io m’ostinavo nel pensiero ch’egli non la meritava perchè non era l’uomo ch’essa cercava col suo occhio serio. Non l’aveva sentito persino la signora Malfenti?

Tutti mi protessero e aggravarono la mia situazione. La signora Malfenti disse ridendo:

— Non fu che uno scherzo riuscito benissimo. — La zia Rosina aveva tuttavia il grosso corpo vibrante dal ridere e diceva ammirando:

— Magnifica!

Mi spiacque che Guilo fosse tanto amichevole. Già, a lui non importava altro che di essere sicuro che le