Pagina:Svevo - La coscienza di Zeno, Milano 1930.djvu/144


141

indeciso se mandarlo in pezzi o suonarlo. Poi lo provai come se avessi voluto dargli l’ultimo addio e infine mi misi a studiare l’eterno Kreutzer. In quello stesso posto avevo fatto percorrere tanti di quei chilometri al mio arco, che nel mio disorientamento mi rimisi a percorrerne macchinalmente degli altri.

Tutti coloro che si dedicarono a quelle maledette quattro corde sanno come, finchè si viva isolati, si creda che ogni piccolo sforzo apporti un corrispondente progresso. Se così non fosse, chi accetterebbe di sottoporsi a quei lavori forzati senza termine, come se si avesse avuta la disgrazia di ammazzare qualcuno? Dopo un po’ di tempo mi parve che la mia lotta con Guido non fosse definitivamente perduta. Chissà che forse non mi fosse concesso d’intervenire fra Guido e Ada con un violino vittorioso?

Non era presunzione questa, ma il mio solito ottimismo da cui mai seppi liberarmi. Ogni minaccia di sventura m’atterrisce dapprima, ma subito dopo è dimenticata nella fiducia più sicura di saper evitarla. Lì, poi, non occorreva che rendere più benevolo il mio giudizio sulle mie capacità di violinista. Nelle arti in genere si sa che il giudizio sicuro risulta dal confronto, che qui mancava. Eppoi il proprio violino echeggia tanto vicino all’orecchio che ha breve la via al cuore. Quando, stanco, smisi di suonare, mi dissi:

— Bravo Zeno, hai guadagnato il tuo pane.

Senz’alcuna esitazione mi recai dai Malfenti. Avevo accettato l’invito ed oramai non potevo mancare. Mi parve di buon augurio che la cameriera m’accogliesse con un sorriso gentile e la domanda se fossi stato male per non esser venuto per tanto tempo. Le diedi una man-