Pagina:Svevo - La coscienza di Zeno, Milano 1930.djvu/128


125

distrazione ordinai una spremuta anche per me ad onta ch’io non possa soffrire il sapore del limone. Intanto la gruccia appoggiata al sofà su cui sedevamo, scivolò a terra ed io mi chinai a raccoglierla con un movimento quasi istintivo.

— Oh, Zeno! — fece il povero zoppo riconoscendomi nel momento in cui voleva ringraziarmi.

— Tullio! — esclamai io sorpreso e tendendogli la mano. Eravamo stati compagni di scuola e non ci eravamo visti da molti anni. Sapevo di lui che, finite le scuole medie, era entrato in una banca, dove occupava un buon posto.

Ero tuttavia tanto distratto che bruscamente gli domandai come fosse avvenuto ch’egli aveva la gamba destra troppo corta così da aver bisogno della gruccia.

Di buonissimo umore, egli mi raccontò che sei mesi prima s’era ammalato di reumatismi che avevano finito col danneggiargli la gamba.

M’affrettai di suggerirgli molte cure. E’ il vero modo per poter simulare senza grande sforzo una viva partecipazione. Egli le aveva fatte tutte. Allora suggerii ancora:

— E perchè a quest’ora non sei ancora a letto? A me non pare che ti possa far bene di esporti all’aria notturna.

Egli scherzò bonariamente: riteneva che neppure a me l’aria notturna potesse giovare e riteneva che chi non soffriva di reumatismi, finchè aveva vita, poteva ancora procurarseli. Il diritto di andare a letto alle ore piccole era ammesso persino dalla costituzione austriaca. Del resto, contrariamente all’opinione generale, il caldo e il freddo non avevano a che fare coi reumatismi. Egli