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che fosse possibile la frase che dovevo dirigergli. Bastava dirgli la mia determinazione di sposare sua figlia. Non avevo nè da conquiderlo nè da convincerlo. Quell’uomo d’affari avrebbe saputa la risposta da darmi non appena intesa la mia domanda. Mi preoccupava tuttavia la quistione se in un’occasione simile avrei dovuto parlare in lingua o in dialetto.

Ma Giovanni aveva già abbandonato l’ufficio e s’era recato al Tergesteo. Mi vi avviai. Più lentamente perchè sapevo che alla Borsa dovevo attendere più tempo per potergli parlare da solo a solo. Poi, giunto in via Cavana, dovetti rallentare per la folla che ostruiva la stretta via. E fu proprio battendomi per passare traverso a quella folla, che ebbi finalmente come in una visione la chiarezza che da tante ore cercavo. I Malfenti volevano ch’io sposassi Augusta e non volevano ch’io sposassi Ada e ciò per la semplice ragione che Augusta era innamorata di me e Ada niente affatto. Niente affatto perchè altrimenti non sarebbero intervenuti a dividerci. M’avevano detto ch’io compromettevo Augusta, ma era invece lei che si comprometteva amandomi. Compresi tutto in quel momento, con viva chiarezza, come se qualcuno della famiglia me l’avesse detto. E indovinai anche che Ada era d’accordo ch’io fossi allontanato da quella casa. Essa non m’amava e non m’avrebbe amato almeno finchè la sorella sua m’avesse amato. Nell’affollata via Cavana avevo dunque pensato più dirittamente che nel mio studio solitario.

Oggidì, quando ritorno al ricordo di quei cinque giorni memorandi che mi condussero al matrimonio, mi stupisce il fatto che il mio animo non si sia mitigato all’apprendere che la povera Augusta mi amava. Io, ormai