Pagina:Svevo - La coscienza di Zeno, Milano 1930.djvu/110


107

Ecco che avevo finalmente cessato di raccontare delle storie a tre fanciulle e avevo invece baciata la mano ad una sola di esse.

Ma il resto della giornata fu piuttosto sgradevole. Ero inquieto e ansioso. Io andavo dicendomi che la mia inquietudine provenisse solo dall’impazienza di veder chiarita quell’avventura. Mi figuravo che se Ada m’avesse rifiutato, io avrei potuto con tutta calma correre in cerca di altre donne. Tutto il mio attaccamento per lei proveniva da una mia libera risoluzione che ora avrebbe potuto essere annullata da un’altra che la cancellasse! Non compresi allora che per il momento a questo mondo non v’erano altre donne per me e che abbisognavo proprio di Ada.

Anche la notte che seguì mi sembrò lunghissima; la passai quasi del tutto insonne. Dopo la morte di mio padre, io aveva abbandonate le mie abitudini di nottambulo e ora, dacchè avevo risolto di sposarmi, sarebbe stato strano di ritornarvi. M’ero perciò coricato di buon’ora col desiderio del sonno che fa passare tanto presto il tempo.

Di giorno io avevo accolte con la più cieca fiducia le spiegazioni di Ada su quelle sue tre assenze dal suo salotto nelle ore in cui io vi era, fiducia dovuta alla mia salda convinzione che la donna seria ch’io avevo scelta non sapesse mentire. Ma nella notte tale fiducia diminuì. Dubitavo che non fossi stato io ad informarla che Alberta — quando Augusta aveva rifiutato di parlare — aveva addotta a sua scusa quella visita alla zia. Non ricordavo bene le parole che le avevo dirette con la testa in fiamme, ma credevo di esser certo di averle riferita quella scusa. Peccato! Se non l’avessi fatto, forse lei, per