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sero vere. Ad Augusta apparvero perciò più preziose perchè, inventate da me, le sembrava fossero più mie che se il destino me le avesse inflitte. Ad Alberta quella parte in cui non credette fu tuttavia gradevole perchè vi scorse degli ottimi suggerimenti. La sola che si fosse indignata delle mie bugie fu la seria Ada. Coi miei sforzi a me toccava come a quel tiratore cui era riuscito di colpire il centro del bersaglio, però di quello posto accanto al suo.
Eppure in gran parte quelle storielle erano vere. Non so più dire in quanta parte perchè avendole raccontate a tante altre donne prima che alle figlie del Malfenti, esse, senza ch’io lo volessi, si alterarono per divenire più espressive. Erano vere dal momento che io non avrei saputo raccontarle altrimenti. Oggidì non m’importa di provarne la verità. Non vorrei disingannare Augusta che ama crederle di mia invenzione. In quanto ad Ada io credo che ormai ella abbia cambiato di parere e le ritenga vere.
Il mio totale insuccesso con Ada si manifestò proprio nel momento in cui giudicavo di dover finalmente parlar chiaro. Ne accolsi l’evidenza con sorpresa e dapprima con incredulità. Non era stata detta da lei una sola parola che avesse manifestata la sua avversione per me ed io intanto chiusi gli occhi per non vedere quei piccoli atti che non mi significavano una grande simpatia. Eppoi io stesso non avevo detta la parola necessaria e potevo persino figurarmi che Ada non sapesse ch’io ero là pronto per sposarla e potesse credere che io — lo studente bizzarro e poco virtuoso — volessi tutt’altra cosa.
Il malinteso si prolungava sempre a causa di quelle mie intenzioni troppo decisamente matrimoniali. Vero è che oramai desideravo tutta Ada cui avevo continuato a