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traverso la finestra, la notte oramai completa, e cortesia voleva di far sentire la propria voce. Disse subito una bugia lamentando di dover sobbarcarsi alla fatica del viaggio. Aveva preso lo slancio al complimento (che per sua natura è menzognero) e disse la bugia completa: Per lui il viaggio era una tortura.

E in un lampo il signor Aghios evocò delle immagini che dovevano rendere vera quella bugia. In prima linea la bambina di poco prima, che aveva immaginato il viaggio come qualche cosa che meglio si senta e si veda. Anche lui era come la bambina. Il vero viaggio sarebbe stato quello con la diligenza traverso a vere vie naturali (chiamava naturali quelle prive di ferro) e ai luoghi abitati, con gli arresti non alle stazioni, che in Italia mai davano l’immagine del luogo di cui erano la porta d’ingresso, ma davanti ad un’osteria del luogo, parte di esso, ove i cavalli si rifocillavano o cambiavano. Neppure in automobile la via, il luogo, la gente non era tanto intimamente sfiorata dal viaggiatore. E il viaggio, in compagnia del Borlini, era meno viaggio che mai.

Il quale rispose all’osservazione dell’Aghios con una domanda: «Quante volte viaggia lei in un mese?».

Ed il signor Aghios disse un’altra bugia: «Due o tre volte al mese». Era già la seconda volta — disse — che in un mese andava da Trieste a Milano. Quest’ultima comunicazione era vera. La prima volta su e giú con la moglie; la seconda volta si concludeva ora col suo ritorno da solo. Ma prima, da anni, non s’era mosso da Trieste.

Il Borlini vivamente stava contando aiutandosi con le dita e mormorava: «Lodi (sporgendo il pollice), Vicenza (l’indice), Siracusa (il medio), Ancona, Siena, Perugia...». Dieci città e l’Aghios guardava quelle dita tozze che le segnavano e correva a vederne tutto l’aspetto in rapida sintesi: Lodi (non v’era stato, ma ricordava che la poverina non aveva saputo imporre il proprio nome alla sua squisita invenzione attribuita a Parma), Vicenza (il Palladio, le cui opere venivano spregiate da quel saputo del figliuolo suo, quei palazzi marmorei che l’Aghios vedeva lucere nelle vie poco popolose in una giornata festiva di sole), Siena (oh! quel duomo risultato piú pic-