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provvisamente il signor Aghios fu nettato dal suo disgusto da un suono strano, nuovo, che interrompeva le tre, quattro o piú note prodotte dal procedere del treno. Il giovinotto, nel cantuccio, ch’era rimasto immoto con una mano sugli occhi, emise un vero gemito. Il gemito è veramente un suono d’intimità. Tutta una via cambia d’aspetto se un suono simile vi è emesso in modo da esser sentito. L’indifferente viandante s’arresta e pensa: “Oh! poverino! Guarda quello che gli accade e può domani accadere a me che ogni giorno passo per questa stessa via”.

L’Aghios e il Borlini, stupiti, guardarono il gemente. Troppo a lungo tacquero e ciò rese accorto il giovanotto che lo si osservava. Levò la mano dagli occhi e guardò i due compagni di viaggio. Lo guardavano, il Borlini proprio chino per innanzi per accostarglisi meglio.

«Sta forse male?» domandò l’Aghios, subito fraterno.

«Perché?» domandò il giovanotto stupito. Aveva dei begli occhi bruni sotto una chioma quasi bionda.

«Scusi tanto!» disse l’Aghios. «Ha sognato forse e ha emesso un gemito.»

«Può essere» rispose il giovine. «Ciò mi avviene talvolta. Mi scusino. Io non sono malato. Pensavo a certa mia sventura e perciò gemetti. Mi compatiscano.» Chiuse gli occhi e si riadagiò nel suo cantuccio. Poco dopo trasse a sé la tenda e se ne coperse il capo. Voleva una grande oscurità quel disgraziato, perché nella vettura la luce era scarsissima. S’era già al crepuscolo, eppoi il cielo s’era coperto.

Il signor Aghios continuò a guardarlo. Oh! quanto avrebbe desiderato di poter lenire il primo dolore in cui s’imbatteva in quel suo viaggio. Un gemito, poi, è il suono piú familiare che un uomo possa indirizzare ad un altro. Lo s’intende subito. È piú intelligibile di una parola, perché sfuggito all’organismo che lo formò e non lo volle come tutte le sue funzioni. Cosí il polmone respira e il cuore batte. E il suono va direttamente al cuore degli altri che sanno anch’essi formarlo e perciò l’intendono.

Invece il Borlini guardava il dormente con quei suoi oc-