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vera azione. Il ricordo lo si subisce immobile. Chi ricorda e chi è ricordato s’immobilizzano.

Il suo compagno lo richiamò al movimento del treno. «E il conto fu piccolo?» E infatti il vecchio sentí, ritornando in sé, la spinta del treno che lo fece piegare per innanzi.

Aghios sorrise. «Non basta ancora. Anche il cavallo ebbe la sua merenda: Granturco, perché non c’era avena. In un cortile vasto (lo spazio a Torlano non manca) fu lavata accuratamente la carretta ch’era sudicia, perché, essendo stata guidata dal pittore, aveva finito talvolta fuori della strada carrozzabile.»

«Ebbene!» disse il grosso uomo. «Io scommetto d’indovinare a quanto ammontò il conto. Due lire o, tutt’al piú, due lire e cinquanta.»

«Ella sbaglia di una lira intera» disse il signor Aghios.

L’altro fece atto di non credere. Parve anche fosse in procinto di protestare. Poi s’accontentò di far conti e mormorò: «Due tazze di latte, pane à volonté... quattro uova al tegame... due formaggi. Una lira e cinquanta a me pare poco».

Al signor Aghios, che pur tanto amava la sincerità, la protesta dell’altro parve scortese e anche imprudente. Che cosa poteva lui saperne dei prezzi di Torlano nel milleottocento e novantatré?

E brevemente aggiunse: «Io fui tanto stupito di tale conto, che proposi al pittore di dare una lira intera di mancia, nel quale caso la merenda avrebbe costato proprio quello ch’ella dice. Ma il pittore m’ingiunse di dare solo venti centesimi di mancia, perché pretese che altrimenti il mondo si guastava. Io feci come egli disse. Cosí truffai Torlano e, tuttavia, come si vide, il mondo si guastò».

Meno male che il suo interlocutore a quest’osservazione dell’Aghios vivamente assentí ed anche rise, perché una constatazione molto giusta fa sempre da ridere. Volle però aggiungere la sua pezzetta e disse: «Chissà se anche Torlano è tanto guasta?».

«Io spero di no» disse l’Aghios fervidamente. E non pensò ai prezzi, ma a quell’acqua bene incanalata che cantava la