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14 PREFAZIONE


Ecco un punto quanto mai interessante e non ancora sufficientemente approfondito dalla critica nei riguardi dell’opera di Italo Svevo. Non s’è considerato cioè quanto questo linguaggio aderisca al fatto creativo. S’è parlato di una “irrequietudine dello stile” di Svevo, e s’è detto giusto, nel senso che esso corrisponde ad una inquietudine creativa, nel senso che al sorgere di esso precede una trama d’investita intimità: di affetti e di ricordi. Per questo lo stile di Svevo ha una misura e una durata sua: non importano le imperfezioni perché non sono insufficienze artistiche. Tant’è avventurosa l’origine del suo narrare, tanto sostanziale è il raccordo del suo stile.

La storia del signor Aghios è la storia di una vita accettata nel piú ricco complesso d’esperienze meglio che nei termini delle sue formazioni. Aghios è il fratello, minore se vogliamo, di Zeno: l’ansia di questo continua in quello; ambedue tendono a ricuperare nei loro affanni e nella loro ironica saggezza la situazione infinita dell’esistenza umana. Felicita di Il mio ozio è sorella della Carla di Zeno e della protagonista di La novella del buon vecchio e della bella fanciulla. Altri riferimenti potremmo segnare. Ma è meglio lasciare al lettore il godimento di queste pagine, sempre calde di vita e di sincerità: e il godimento sarà tanto maggiore quanto meglio avrà compreso con quale disposizione deve leggerle per penetrare la struttura di questi racconti e del loro stile, senza equivocare sul fatto inconcludente di una lingua, alla quale soltanto i pedanti grammatici possono essere avversi.


I testi riproducono con quasi assoluta fedeltà i manoscritti. Non si sono infatti apportate varianti essenziali, ben sapendo quanto inopportuno sia l’intervento di estranei nell’opera di un artista. D’altra parte Svevo non volle accettare correzioni di sorta e persino i ritocchi meramente formali della seconda edizione di Senilità (che diedero argomento per un articolo di Giacomo Devoto, non sempre favorevole alle soluzioni adottate) egli li subí piú per compiacenza verso un amico che per intima persuasione: cosicché di molti non si può nemmeno ritenerlo responsabile.