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mondo s’era convertito in oppressione. Perciò era mio il torto se mi ci trovavo. Non restava da far altro che di adagiarsi nell’oppressione».

Essa non seppe che dire. Ogni sua parola la commoveva. Se il dottore non avesse esitato prima di staccarsi da lei essa si sarebbe sentita piú leggera. Cosí invece essa lo sapeva tuttavia in pericolo. E sembrava che anche lui lo sapesse. La sua parola era perciò tuttavia di


III


Sembrava dormisse. Piú volte la signora lo guardò e senza moversi ritornò al suo libro. «Non dormi?» disse una volta vedendo che con gli occhi spalancati guardava le unghie di una mano posta sul guanciale a piccola distanza dalla faccia.

Egli volse a lei la faccia pallidissima coperta da un lieve sudore. «Non so che sia ma soffro molto! Passerà.» E parve volesse tranquillarla. Poi saltò dal letto. «Scusami» disse da quell’ammalato bene educato da anni di preparazione «ma non posso stare in letto.» Ed essa non dimenticò piú questa strana parola indice evidente che la lunga preparazione aveva lasciato nel suo animo delle traccie indelebili anche in quel momento di malato bene educato. Ora, appena avvicinata la testa alla finestra socchiusa essa la vide scomposta da uno sberleffo di dolore che vi si formava e spariva per riformarvisi. Pareva il riflesso di attacchi di dolore che seguivano uno subito dopo l’altro. Essa pensò che cosí probabilmente avesse risposto l’atteggiamento della faccia dei torturati all’applicazione ripetuta sulla carne del ferro incandescente.

S’abbandonò sulla poltrona ove essa era stata seduta fino a quel momento. La parola tanto strana in quel momento si ripeté: «Scusami». Aveva la sola camicia. La sera prima s’era sentito oppresso dal pijama e l’aveva smesso. Le sue gambe tuttavia giovani moderatamente muscolose meglio colorite della sua faccia tremavano. Il piede destro restò eretto contorto poggiato sul solo alluce. Un irrigidimento dovuto al dolore. La respirazione non pareva impedita ma talvolta s’accelerò.