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lucinazione. Intese un enorme fragore, il rumore di cose enormi che crollavano, le imprecazioni di una folla sterminata e vide dinanzi a sé Antonio che rideva sgangheratamente, le mani nelle tasche, nelle quali certo aveva riposto il suo tesoro riconquistato. Poi piú nulla.

Si ritrovò adagiato sul suo giaciglio. Nella stanza v’era una sola guardia.

Due uomini vestiti in borghese, di cui uno, piccolo e tarchiato, con un volto grasso e dolce sembrava il superiore, contavano i denari che già avevano trovati sotto il giaciglio di Giovanni.

Costui li aveva aiutati e stava in posizione rispettosa in un canto della stanza. Alla porta vi era un’altra guardia, che tratteneva la folla che si spingeva innanzi.

«Assassino!» gli gridò una vecchia alla quale era riuscito di giungere fino sul limitare della porta, e sputò.

Era perduto! Non poteva negare, ma quello ch’era peggio non avrebbe mai trovato le parole per descrivere le torture da lui sofferte e che avrebbero attenuato la sua colpa. Per tutti costoro egli era una macchina malvagia di cui ogni movimento era una mala azione o il desiderio di farla, mentre egli sentiva di essere un miserabile giocattolo abbandonato in mano capricciosa.

Con voce dolcissima l’uomo dal volto dolce gli chiese se stesse meglio, poi il nome. In quella faccia non vi era segno di odio o di disprezzo e Giorgio dicendo il proprio nome lo guardò fisso per non vedere la folla alla porta.

Poi la medesima persona comandò alla guardia di far entrare per il confronto quella donna e il cappellaio.

«No!» pregò Giorgio, e abbondanti lagrime gl’irrigarono il volto. «Ella mi sembra buono e non mi torturerà inutilmente; le dirò tutto, tutta la verità.»

Poi indugiò alquanto quasi per attendere una ispirazione che lo portasse a tacere, a salvarsi, ma bastò un piccolo movimento d’impazienza del suo interlocutore per far cessare ogni esitazione. «Sono io l’assassino di Antonio» disse con voce semispenta.