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Era una donna intelligente che non lo amava dacché egli aveva tradito le speranze ch’ella in lui aveva riposte, ma che lo avrebbe accarezzato non appena saputolo ricco. A lui era di grande conforto quella speranza di affetto ch’egli avrebbe corrisposto con tutte le forze dell’anima sua. In quell’affetto si sarebbe quietata la sua agitazione, si sarebbero annegati quelli che impropriamente egli chiamava rimorsi. La avrebbe trattata dolcemente, si sarebbe confidato a lei come a se stesso, e avrebbe posto a sua disposizione tutto il suo denaro. Quell’amore gli nasceva nel cuore addirittura violento. Nulla di simile era mai passato per la sua anima. Egli era stato sempre egoista e duro ed ora si compiaceva nell’idea di accarezzare un essere debole e farsene lo schiavo e il difensore.

Scorse un ragazzo seduto accanto alla prima casa operaia. Lo riconobbe e provò un sentimento giocondo: Era Giacomino, il figliuolo di un vicino della madre.

Il ragazzo nell’ombra fumava con voluttà; vedendo Giorgio arrossendo si levò in piedi e celò la sigaretta nel cavo della mano.

Giorgio gli sorrise e voleva rassicurarlo, dirgli ch’egli di certo non lo avrebbe denunciato al padre, ma non aveva tempo e si limitò a quel sorriso.

«Mia madre dov’è?» chiese con premura come se avesse da portarle una notizia urgente.

Piú rassicurato da quel sorriso che attristato dalla triste notizia che doveva dare, il ragazzo chiese: «Sua madre?» e spese queste due uniche parole per preparare Giorgio, aggiunse rapidamente: «Sua madre è morta da otto giorni allo spedale. Anzi papà sarà contento di vederla perché da parte della signora Annetta ha da dirle qualche cosa. Vado a chiamarlo!».

«Non occorre, non occorre» disse Giorgio con voce afona, e, già allontanandosi, in modo che il ragazzo forse non poté udirlo aggiunse: «Ritornerò domani, addio».

Cosí perdette quella speranza che in poche ore aveva accarezzato tanto da finire col tenerci addirittura quanto alla speranza di non venir scoperto. Non era il dolore per la mor-