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visamente faccia a faccia con una montura qualunque che magari somigliasse soltanto a quella di una guardia. Non era la lettura del giornale, la sicurezza di sapersi non sospettato che gli dava coraggio, e finí col riconoscerlo anche lui. Era l’abitudine alla nuova posizione che gli permetteva di muoversi piú sciolto. Gran parte di quello che noi diciamo coraggio è l’esperienza e l’abitudine del pericolo.

III


Giovanni entrando alle sette di sera lo guardò con cipiglio comicamente serio: «Sai che si sospetta che tu sii l’assassino di Antonio Vacci?» gli disse a bruciapelo.

Giorgio era nell’oscurità, sul suo giaciglio. Egli sentí che se non fosse stato cosí, l’altro, alla sola vista della sua fisonomia, che doveva essersi alterata orribilmente, avrebbe compreso che quel sospetto di cui parlava scherzosamente era ben fondato. Ove erano iti i suoi propositi di freddezza e di disinvoltura? «Chi?» balbettò. Non si poteva movere una domanda piú sciocca ma l’aveva preferita a tutte le altre perché la piú breve che gli fosse venuta in mente.

Giovanni rispose che tutti i loro amici ne parlavano. A quanto raccontava il Piccolo Corriere della Sera una donna aveva veduto fuggire l’assassino dal luogo del delitto, anzi quasi ne era stata gettata a terra, e aveva saputo dare sul suo aspetto dei particolari abbastanza precisi: Intanto dei capelli ricci, neri, abbondantissimi, e un cappello a cencio.

Lo spavento che in Giorgio era stato provocato dalle prime parole di Giovanni, da queste ultime venne alquanto diminuito. Piccolissima, ma qualche tranquillità gliene doveva derivare. Egli si rammentava di quella donna la quale lo aveva visto nell’oscurità e per un breve istante, tale che sicuramente non le aveva concesso di osservare in lui altro all’infuori del cappello a cencio e dei capelli neri. Di piú ella non lo aveva visto uccidere e se anche lo avesse ritrovato e riconosciuto, egli non era del tutto perduto; poteva salvarsi negando. Certo! Era atroce la sua siutazione ed egli ne era con-