Pagina:Svevo - Corto viaggio sentimentale e altri racconti, 1949.djvu/122


Per andare alla sua abitazione in Barriera vecchia egli avrebbe dovuto passare la spaziosa via del Torrente. Un’insormontabile paura della luce glielo impedí e spiegando a se stesso che la sua paura era cautela, infilò una viuzza solitaria che lo portò sulla collina adiacente ad una via larga ma fuori di mano, poco frequentata a quell’ora e poco illuminata. Poi con un giro enorme, sempre preferendo le vie piú oscure, arrivò all’altra parte della città. Si fermò dinanzi ad una porta per uno scalino piú bassa della via. Entrò, chiuse dietro a sé la porta, e nella profonda oscurità si sentí subito tranquillo. Egli aveva commesso un errore, quella passeggiata alla stazione, e, ritornato salvo in casa, gli parve di averlo annullato.

Là nessuno sapeva del suo tentativo di fuga; in uno dei canti della stanza sentiva russare Giovanni, probabilmente ubbriaco.

Cercò a tastoni il suo materasso, vi si stese e si spogliò. Cacciò la giubba nella quale v’erano i denari, sotto il guanciale e s’addormentò dopo aver brancolato verso il sonno in una fantasia disordinata. Non gli sembrava di essere stato lui l’uccisore. Quella via lontana ch’egli fuggendo aveva guardato anche una volta, l’assassinato che per sí breve tempo aveva conosciuto e quella fuga alla stazione, gli balzavano bensí dinanzi alla mente, ma senza commuoverlo o spaurirlo. Nella sua immensa stanchezza gli parve che l’oscurità in cui si trovava non avesse a diradarsi mai piú. Chi sarebbe venuto a cercarlo là?

II


Giorgio nella triste società nella quale viveva, veniva chiamato il signore. Non doveva questo nomignolo alle sue maniere che pur si tradivano superiori a quelle degli altri ma piú al disprezzo ch’egli dimostrava per le abitudini e i divertimenti dei suoi compagni. Costoro all’osteria erano felici mentre Giorgio vi entrava svogliato, vi stava per lo piú silenzioso, e quanto piú beveva tanto piú triste diveniva. Il volgo ha un gran rispetto per la gente che non si diverte e