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48 EMILIO SALGARI

— Fuggivo dinanzi all’insurrezione dei pelli-rosse.

— Senza una mèta?

— Un cercatore d’oro non ne ha mai. E poi ora non si tratta che di serbare la mia pelle, e quello che più m’importa, la mia capigliatura.

E voi, dove andate, se si può saperlo?

— A Kampa, — rispose John. — Cercheremo di unirci alle ultime od all’ultima corriera in partenza pel Lago Salato.

Anche noi fuggiamo. —

Il gambusino lo guardò, sorridendo un po’ ironicamente.

— Dei soldati fuggire! — disse poi. — Dite piuttosto che siete incaricati di qualche importante missione.

— Può darsi, — rispose, asciuttamente, l’indian-agent. — Volete venire con noi?

— Certamente, se non vi rincresce.

Avete veduto delle colonne indiane ronzare da queste parti?

— Nessuna finora: io credo che i Chayennes e gli Arrapahoes non si moveranno se prima non scenderanno dai Laramie gli Sioux.

Può darsi però che qualche colonna volante batta la prateria.

— Vi siete rimesso dal vostro spavento?

— Le commozioni non fanno presa su di me, — rispose il gambusino, il quale, di quando in quando, lanciava sempre di sfuggita degli sguardi rapidissimi su Minnehaha, tosto ricambiati.

— Tornerà il vostro cavallo?

— È troppo affezionato al suo padrone per abbandonarlo.

— Andate a cercarlo, mentre noi staccheremo un paio di zamponi d’orso che serberemo pel pranzo.

— Partiamo subito?

— Abbiamo molta fretta. Non ci fermeremo che alla Missione del Massacro, per passare la notte.

Spero che rimarrà ancora ritta qualche muraglia o che troveremo qualche tettoia.

— Sta bene, — rispose il gambusino, colla sua solita voce gutturale. — Fra cinque minuti sarò di ritorno col mio mustano e col rifle che ho lasciato stupidamente appeso alla sella. —

Scambiò colla piccola indiana un ultimo sguardo, impugnò il machete e si gettò in mezzo alla macchia mandando dei sibili acutissimi.