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246 | EMILIO SALGARI |
yennes, ormai padroni della prateria, le quali non avrebbero certamente lasciato il passo libero all’indian-agent nella sua corsa verso l’Arkansas.
A mezzodì la lunghissima colonna che non aveva cessato di procedere abbastanza rapidamente, allontanandosi sempre più dal grande Lago Salato, faceva la sua prima fermata in mezzo alle alte erbe della prateria, per concedere ai cavalli, che apparivano ormai completamente esausti, un lungo riposo.
Strappate o tagliate le erbe su uno spazio abbastanza vasto per non provocare qualche spaventevole incendio, Sioux ed Arrapahoes si accamparono, mettendo nel centro i quattro prigionieri, ai quali avevano sciolti i polsi per legare invece loro, e ben strette, le gambe, quantunque una fuga non fosse in alcun modo possibile.
I fuochi furono accesi con molte precauzioni, mettendo ad arrostire alcuni quarti interi di buoi e di bufali, ed i cavalli furono posti in libertà perchè pascolassero a loro agio, essendo ormai completamente addomesticati.
D’altronde delle sentinelle erano state disposte verso i margini dell’accampamento, anche per prevenire qualsiasi sorpresa da parte dei soldati americani, i quali potevano essersi messi già in campagna.
— Ebbene, signori, — disse il figlio del colonnello, mentre gl’Indiani sorvegliavano i giganteschi arrosti, fumando intanto i loro calumet, rivolgendosi verso Harry e Giorgio, i quali penavano assai a mostrarsi un po’ meno abbattuti. — Credete che tutto sia finito per noi e che lasceremo le nostre capigliature fra le mani di questi sanguinarî guerrieri?
— Non saprei veramente che cosa dirvi, signor Devandel, — rispose Harry. — Solamente trovo assai strano che ci abbiano finora risparmiati, mentre avrebbero potuto scotennarci facilmente sulle rive della savana.
— Ci avranno forse risparmiati per farci subìre l’orribile supplizio del palo, señor.
— Potevano farlo prima. No, io credo che quella maledetta Yalla abbia qualche altro progetto.
— Di tenerci come ostaggi nel caso che la guerra finisse per loro disastrosa?
— Può darsi, signor Devandel.
— Ma non ne siete persuaso.
— Lo confesso.
— Ed allora? — chiese con angoscia il giovane.
— Bisognerebbe poter leggere nel cervello di Yalla.
— Che cosa medita quella miserabile?
— Oh, niente di buono di certo! Per crudeltà d’animo io credo che superi tutti i sakems delle tribù indiane.
— Che si affretti ad ucciderci, adunque!...