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CAPITOLO XXIII.


I prigionieri.


La carica furiosa degl’Indiani che pareva non dovesse finire se non dopo la espugnazione completa dell’hacienda, in seguito a quel primo scacco era andata a rotoli.

La presenza del fossato, che essi probabilmente ignoravano, e che era troppo largo per farlo superare dai cavalli, e soprattutto quella terribile pioggia d’olio bollente che aveva arrostiti vivi quindici o venti dei più valorosi guerrieri, li avevano decisi a sospendere l’attacco.

Le due bande degli Sioux e degli Arrapahoes, dopo d’aver scaricato un’ultima volta le loro carabine, si erano ripiegate confusamente verso la pineta, per non esporsi ad inutili perdite.

Yalla, Mano Sinistra, Caldaia Nera e Nuvola Rossa erano stati gli ultimi a ritirarsi, esponendosi con un coraggio ammirabile ai tiri dei due scorridori della prateria e dell’indian-agent, tiri che per un caso veramente straordinario erano andati a vuoto.

— Ebbene, John, — disse il figlio del colonnello, quando gli ultimi Indiani scomparvero fra le tenebre. — Credete voi che ritorneranno alla carica, dopo la dura lezione che hanno avuta?

— Signor Devandel, — rispose l’indian-agent, scuotendo la testa. — Sono almeno in cinquecento, e cinquecento pelli-rosse, decisi come sono a far raccolta di capigliature, possono far paura anche ad un reggimento di volontari delle frontiere.

— Credete dunque che ritornino all’attacco?

— Sono guidati da Yalla, da Mano Sinistra e da Caldaia Nera, e so io quanto valgono.

— Eppure dopo la vostra meravigliosa trovata....

— Quanto olio avete ancora?

— Cinque o sei barili.

— E null’altro?

— No.

— Molte balle di cotone però....

— Ah sì, finchè vorrete.

— Mah!... Chissà!... Forse riempiendo il fossato di fuoco si potrebbe tenerli lontani per alcuni giorni.... e poi?