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216 | EMILIO SALGARI |
yennes e gli Arrapahoes, stretti in una salda alleanza difensiva ed offensiva contro l’incessante invasione dei visi-pallidi.
L’hacienda consisteva in una casa di bell’aspetto, a due piani, tutta costruita in legno e, come abbiamo detto, circondata da salde palizzate e da un profondo fossato largo parecchi metri, onde i mustani dei pelli-rosse non potessero varcarlo con un salto.
Si trovava quindi in grado di poter opporre una tenace resistenza e di sostenere anche un lungo assedio, poichè le sue tettoie rigurgitavano di provviste, le praterie circostanti pullulavano di cavalli, di buoi, di bufali e di immensi stormi di tacchini deliziosissimi e poteva disporre d’una quindicina di fucili maneggiati da negri e da meticci.
Non mancava però di avere il suo lato debole. Costruita quasi tutta con legno resinoso tratto dalle vicine pinete, poteva correre il pericolo di venire facilmente incendiata e distrutta in pochi momenti insieme ai suoi difensori.
John che, come abbiamo detto, era già stato altre volte all’hacienda, senza preoccuparsi delle urla dei negri e dei latrati dei cani, guidò i suoi due compagni e Minnehaha attraverso le ultime piantagioni che circondavano l’hacienda e varcò risolutamente il ponte levatoio gettato attraverso il fossato, non cessando di gridare sempre, per non prendersi qualche fucilata:
— Amigos!... Amigos!... —
Stava per entrare nel cortile che s’apriva dinanzi al fabbricato principale, quando un meticcio che indossava un costume messicano e che era seguìto da una dozzina di negri, gli sbarrò il passo, puntandogli contro due pistole a due colpi.
— Ohè, Morales, non si conoscono più gli amici? — gridò John. ― Dove sono il signor Giorgio e miss Mary?
— To’!... — esclamò il messicano, facendo un salto ed abbassando le pistole. — L’indian-agent del padrone! —
Poi, mentre i negri disarmavano a loro volta, si slanciò verso l’abitazione, urlando a squarciagola:
— Signore!... Miss!... Accorrete!... Sono giunti dei messi del colonnello!... —
Un momento dopo dalla porta centrale della casa comparivano un bellissimo giovanotto d’una quindicina d’anni, bene sviluppato, bruno di carnagione, coi capelli e gli occhi nerissimi, ed una ragazza che gli rassomigliava straordinariamente, un poco più giovane, un po’ meno bruna, ma coi capelli e gli occhi pure nerissimi, e snella come una giovane palma.
Due grida erano echeggiate:
— John!... John!...
— Sì signorini, sono proprio io, — disse l’indian-agent, levandosi il cappellaccio.