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delle traduzioni. 11

greca, latina, italiana, francese, spagnuola, inglese, tedesca. Ma quanta fatica, quanto tempo, quanti aiuti domanda un tale studio! Chi può sperare che tanto sapere divenga universale? e già all’universale dee por cura chi vuol far bene agli uomini. Dirò di più: se alcuno intenda compiutamente le favelle straniere, e ciò non ostante prenda a leggere nella propria lingua una buona traduzione, sentirà un piacere per così dire più domestico ed intimo provenirgli da que’ nuovi colori, da que’ modi insoliti, che lo stil nazionale acquista appropriandosi quelle forestiere bellezze. Quando i letterati d’un paese si vedono cader tutti e sovente nella repetizione delle imagini, degli stessi concetti, de’ modi medesimi; segno è manifesto che le fantasie impoveriscono, le lettere isteriliscono: a rifornirle non ci è migliore compenso che tradurre da poeti d’altre nazioni.

Nella quale opera, acciocch’ella sia profittevole, guardiamoci dall’usanza francese di tramutar sì le cose altrui che della origine loro niente si ravvisi. Colui che mutava in oro ogni cosa che toccasse, non trovò più cosa che lo nutrisse. Nè da quella perversa maniera di traduzioni caverebbe alimento il pensiero: nè apparirebbe novità nelle cose pur di lontano cercate, poichè si vedrebbe ognora la stessa faccia, con poca varietà di ornamenti. Ma questo error de’ Francesi ha molte scuse: l’arte dei versi appo loro è piena di malagevolezze; rarità di rime; non diversità di metri; difficoltà d’inversioni: il povero poeta è chiuso in giro sì angusto, che di necessità egli dee ricadere se