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sicani, lavoro che vediamo riprodotto negli indocinesi e persiani antichi, pur indubitatamente dovremo convenire che le più belle e sviluppate forme sempre ti si presentano ove maggiore fu la civiltà. I bellissimi saggi, or son pochi mesi trovati a Preneste (oggi Palestrina) da un povero scavatore chiamato Persicolo, in una tomba di un guerriero coperto di armatura con collare e armille, ora da noi posseduti; quelli scoperti a Ninive dall’egregio Layard, e quelli dischiusi dalle piramidi egizie dall’infaticabile Mariette, hanno tale rassomiglianza di lavoro e di disegno, da far difficilmente comprendere donde l’uno o l’altro provenissero, e sol riscontro hanno cogli ornati dei vasi e con gli ori invenuti nelle tombe più arcaiche dell’antica Etruria, quali son cognite come le appartenenti alla prima epoca etrusca o antietrusca, e sono i più belli. I magnifici esemplari poi trovati nelle tombe ricchissime di Chiusi, Bolsena, Canino e Corneto hanno il riscontro in quei scoperti nella Crimea e nella Magna Grecia e segnalano un’epoca tanto differente da quell’arcaica e così ben demarcata, da non lasciare alcun dubbio sul legame che pur univa cotesta seconda civiltà a noi tanto incognita quanto la prima. Lo studio di questi lavori e la diversità dei paesi a cui essi appartenevano ingenerò in me il desiderio di conoscere a chi fosse debitrice la società di quei belli saggi; come non dovea sospettare che dovea esistere un bandolo che allacciasse tutte le arti e le scienze antiche?

Da questo studio fui convinto che due ipotesi si presentano: o furono gli Orientali che portarono le arti e le scienze in Occidente; oppure furono i Pe-