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della Grecia e del Messico, e questa analogia dall’arte maggiore, che è l’architettura, discende a rivelarsi fino alle minori gentili e leggiadre, trovate negl’ipogei e nei sepolcri italici, e sono nei monili, nelle bulle, nelle collane, nelle gemme e corone. Per dire ora dell’architettura, inutil cosa sarebbe, e lontana dal mio assunto, il farti una completa descrizione di cotesti monumenti, ma se getterai uno sguardo sulle vedute che rappresentano le ruine pelasgiche di Segni, di Alatri e di Palestrina, e comparerai queste a quelle delle città arcaiche etrusche, a quelle dell’acropoli di Atene, delle ruine assire, delle tombe egiziane, dei templi antichissimi indiani e cinesi, ed infine degli avanzi dell’antico Messico, dovrai pienamente convenire sulla loro similitudine e sull’identicità del sistema di lor costruzione. Sono esse formate da enormi masse di pietra sopraposte ed unite le une sulle altre senza cemento; si reggono per combaciamento e per contrasto, ed anche adesso, dopo tanti secoli che ci sono passati sopra, ci trovi tanta solidità quasi quanta ne ebbero quando cominciarono, a sfidare da oltre tre millenni le tempeste, i terremoti, l’azione distruggitiva degli anni e la mano devastatrice dell’uomo, e sembrano destinate a vivere quanto il tempo; e sebbene spesso sieno mostrate qual esempio di bellezza e come una perfettibilità di lavoro, non furono mai sorpassate dalle opere dei tempi posteriori. Nel vedere così sviluppata l’arte delle costruzioni in quei remotissimi tempi, potrebbe mai supporsi che fossero popolazioni rozze e non civilizzate quelle che tanto facilmente