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sura severamente la civiltà di un popolo studiandone le arti.

Vedemmo che i Fenici, gli Egizi, gli Assiri, i Greci, i Messicani ritengono di aver avuto la prisca lor civiltà da uno straniero impulso a cui indubitatamente adattarono le più strambe favole per renderle di un misterioso inviluppo religioso. Nel riguardare tali fatti nella loro nuda verità dovremo rammentare che Bailly presenta una curiosa tavola cronologica in cui sparisce l’esterminata serie di anni che davano gli Egiziani alla cronologia loro; che Mazzoldi presenta certi calcoli che vengono a provare che Manete in Egitto, Dardano in Fenicia, Inaco e Danao nella Grecia non distarebbero più di cinquant’anni dall’epoca del grande cataclisma che distaccava Italia dalla Sicilia, e che ben facile sarà il concepire esser possibili molte inesattezze nel tradurre a calcolo epoche circondate da tanto mistero; allora potrebbe benissimo ritenersi che tutti questi fatti che ci sono segnalati come base del viver civile in Europa, nell’Asia minore e nell’Africa settentrionale siano tutti conseguenze di un solo principio. Noi sappiamo per la greca mitologia confrontata colle tradizioni dei popoli a cui spetta, qual fosse l’epoca di Inaco, la quale non distava dalla guerra di Troia che poche generazioni. Volendo ora analizzare quel principio che enunciava, dovremmo considerare qual fosse in quei Italia nostra. Sarà questa un’idea utopica od una cosa possibile? Si potrebbero lasciar parlare i monumenti soltanto, ma osiamo ancor più, e sulle tracce di autori antichi e moderni, vediamo,