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commercio esterno esercita sulla prosperità dello Stato un’influenza molto minore di quella che generalmente gli viene attribuita. Se l’Inghilterra prosperò molto durante l’ultima guerra, ella ne andò molto meno debitrice alla sua preponderanza marittima, che ai maravigliosi progressi della sua industria interna all’epoca medesima. La Francia prosperò essa pure, e non avea commercio marittimo. Se essa fosse stata industriosa quanto l’Inghilterra, si sarebbe veduto lo spettacolo curioso di due grandi nazioni egualmente prosperanti, l’una con un gran commercio esterno, e l’altra di commercio esterno totalmente priva1.

  1. Abbiamo letto non ha guari nei pubblici fogli i discorsi tenuti da lord Liverpool, dal sig. Huskisson, membri ambedue del Consiglio del re d’Inghilterra, che ci fanno vedere essere queste le opinioni degli uomini di Stato i più illuminati. L’ultimo, dopo molte altre considerazioni, così si esprime: « Se alcuni di quelli che mi ascoltano ponessero in questione il diritto del sig. Watt (cui sono dovuti i grandi perfezionamenti delle macchine a vapore) ad essere annoverato nella prima classe degli uomini di genio, debbo dichiarare ch’essi non rifletterono a sufficienza su questa materia, e non conobbero tutta l’influenza della potenza chimica e meccanica sulla condizione morale della società. » Lo stesso uomo di Stato dice più oltre: « Senza i miglioramenti meccanici e scientifici che diedero all’industria ed alla ricchezza di questo paese uno sviluppamento graduale sì, ma sempre certo, noi saremmo