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vano le cose ad un punto, che le rendite le quali si possono guadagnare producendo, sono insufficienti per mettere un prezzo più alto alle derrate alimentarie, ed un nuovo aumento di popolazione si rende impossibile. Siamo d’accordo; ma siccome la natura delle cose pone essa medesima gradatamente un termine a questo accrescimento di produzione e di popolazione che è un bene; perchè accelerare questo momento? perchè voler privare le nazioni del vantaggio di tutto lo sviluppamento, di cui l’intelligenza dell’uomo ed i possibili progressi delle arti le concedono di godere?

Il signor De Sismondi asserisce, che se gli uomini istrutti si misero insieme a Ricardo sotto i miei stendardi, gli uomini dedicati agli affari si misero sotto i suoi e quelli del sig. Malthus (pag. 194). Fortunatamente nè eglino, nè noi non abbiamo stendardi, giacchè in vece di guerreggiare, noi tendiamo a moltiplicare ed a nutrire l’umana famiglia. Ma quand’anco vero fosse il fatto, esso non proverebbe da qual parte si trovi la verità, più di quello che il numero dei combattenti provi da qual parte si trovi il diritto. Serse col suo milione di soldati aveva torto; e Leonida co’ suoi 300 Spartani aveva ragione. Ogni fabbricante, qual produttore, è più interessato a secondare quello che fa rincarare il suo prodotto che quello il quale cerca di farlo ribassare di prezzo; ma il pubblicista, ma l’uomo di Stato, dev’essere del partito dei consumatori, perchè i consumatori sono la nazione, e la nazione tanto più è ricca quanto a migliore prezzo essa acquista gli oggetti de’ suoi bisogni.

«Figuriamoci, dice il sig. De Sismondi (pag. 211) che scoperte tali da risparmiare un terzo della mano