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su l’animo dei peccatori (dalle male risposte "nasce in loro grandissima malinconia, la quale genera in loro un omor tenero e nero, che continuamente gli consuma: rendendolo scuro e bramoso"), associando in un modo puramente verbale il nero metaforico della tristezza col nero reale delle cagne. Ma, poichè a notar tutto troppo ci vorrebbe, mi contenterò di rilevare una ultima amenità. Nella foga di dare un’interpretazione allegorica di tutti quanti i versi, m’hanno scambiato Dante stesso, che paragona sè

a colui che venire
sente il porco e la caccia alla sua posta,

con un creditore che aspetti al varco il debitore che esce di casa cacciato dalla fame! Senza commenti.

Così è, come almeno a me pare, chiaramente dimostrato che le spiegazioni, a base di allegoria, che altri volle dare della pena dei dissipatori, non bene si reggono; e che si può, si deve anzi, studiarne la forma e l’origine, siccome di una figurazione artistica che non ha altro senso e altro scopo che sè stessa.

Riprendendo la via, ci chiediamo: gli uomini scacciati già sappiamo chi sieno, ma le cagne, indipendentemente dall’allegoria, che cosa sono? animali, demoni, o che altro? La questione fu già toccata dal Graf1 e dal Bartoli2; dietro loro dirò che una fisionomia demoniaca l’hanno per certo, e vorremo dirle incarnazioni diaboliche con tanta maggior sicurezza, in quanto le vediamo poco lontane dalle Arpie e da Gerione, i quali non sono certo animali esistenti in natura, e in quanto pensiamo che nel Medio Evo il diavolo assunse molteplici figure animalesche. Ma d’altra parte, se son demoni le cagne, sarebbero demoni anche i serpenti della bolgia dei ladri. Allora come si spiega "quel tramutarsi di diavoli in dannati e di dannati in diavoli"?3

Ecco, io credo che questo sia uno dei casi, in cui noi ci dibattiamo per un problema, che Dante forse nè meno si pose. Dante

  1. Demonologia di Dante, in Miti e leggende, Torino; 1893, vol.II, pp.79-112.
  2. St. d. L. I., Firenze, 1887, Vol.VI., pp. 163-191.
  3. BARTOLI, loc. cit.