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varietà | 293 |
rettamente, l’ipotesi, che la fonte di quella rappresentazione si debba ricercare in un racconto che l’Alighieri colse vivo su le labbra del popolo d’Italia.
E valga il vero, nella cazza di Prenòt troviamo per la prima volta una compagnia di cani, che cacciano soli e tengono nella caccia il primo luogo; senz’esser soltanto scorta alla schiera rumorosa dei cacciatori e delle fiere, come nella gran caccia germanica.
Nè basta: son cani da corsa, neri, come le cagne di Dante; e hanno un carattere diabolico spiccatissimo. Se sian demoni in corpo di cane, o mostri, o altro, la leggenda non precisa; nè men Dante, vedemmo; ma son pur sempre creature, su cui si riflette un bagliore d’inferno. Nè cervi inseguono o cignali, ma sì uomini, e, raggiuntili, li sbranano; e proseguon nella corsa fatale tenendo ognuno tra i denti un brano delle misere carni. Così appunto in Dante.
Tanta somiglianza, che par quasi identità, mal si può credere dovuta a un mero incontro accidentale; e mi pare di poter concludere fin d’ora, che Dante ha fatto uso di questa fonte popolare.
Ma si può chiedere: come Dante ha conosciuto una leggenda veneta e alpina, confinata in un cantuccio fuor di mano della penisola? Potrei rispondere che la sua conservazione in quei luoghi è prova di una diffusione antica molto maggiore, e che, a ogni modo, Dante fu nel Veneto e ivi ne potè aver notizia.
Ma, chi voglia cercare, si può anche rinvenire alcun ricordo medievale della leggenda.
Ricorderò prima di tutto la leggenda di Venere e del cavaliere romano narrata da Guglielmo di Malmesbury1. In essa un giovane, stando di notte a ciel sereno, vede passare una turba scapigliata, a capo della quale è il diavolo (da cui il giovane ottiene quello, che gli abbisogna, porgendogli un foglio senza aprir bocca): alla cavalcata partecipa anche una bella donna, scarmigliata e piangente: ell’è Venere, divenuta demonio.
Ci vuol poco a vedere come questa tregenda assomigli a certe forme della caccia selvatica della Germania. Anche a questa