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conto, che ne fa Gervasio di Tilbury1: Sed et in sylvis Britanniæ maioris aut minoris consimilia contigisse referuntur [aveva prima accennato alla leggenda, che poneva nell'Etna il ricovero incantato di Artù]; narrantibus nemorum custodibus, quos forestarios vulgus nominat, se alternis diebus circa horam meridianam et in primo noctium conticinio sub plenilunio lunæ lucente sæpissime videre militum copiam venantium et canum et cornuum strepitum, qui sciscitantibus se de societate et familia Arthuri esse dicunt.

Ecco, a parer mio, la forma più genuina e più bella della leggenda del cacciatore selvaggio.

Nel rozzo latino del compilatore medievale alita ancora una aura gentile e geniale, e come un riflesso delle belle fantasie eroiche del ciclo brettone: orrore e paura non seguono la fantastica cavalcata in suo lieve trapassare; e solo il gaio eco dei corni sveglia i ricordi della grandezza passata e le dolci speranze di sua ristorazione. Ma passa il tempo; e la leggenda epica, impregnandosi dello spirito delle nuove età, tutta si tramuta.

Nelle narrazioni infatti, che precedono il tratto su riferito2, e che riguardano un tempo senza dubbio posteriore, Artù non è già più il cavalleresco sire della tavola rotonda; ha, nella sua persona di re santo e giusto, alcun che di diabolico; quasi come un Minosse, che minaccia i malvagi: finché non si trasforma a dirittura nel diavolo, e demoni si fanno i suoi cavalieri, e luogo di tormenti il suo castello, ed ei minaccia, giudica, rapisce su neri cavalli le anime dei condannati, nè più nè meno di un qualunque Satanasso della leggenda medievale. In tal modo, le ultime forme della leggenda tengono un cotal carattere pauroso e soprannaturale, che ci spinge a farle posto nel gran complesso di visioni e di leggende riguardanti l’oltretomba, su cui pure germogliò, di quei succhi imbevuta e di quelle fronde vestita, la Divina Commedia.

Le ultime versioni citate eran di provenienza brettone, ma fermate in Sicilia. E così, siamo in Italia: dove, bene sarò scusato, se mi vorrò fermare un po’ più a lungo.


  1. Otia Imp., Dec. II, cap. XII. Cfr. GRAF, Miti e leggende, vol. II, Artù nell’Etna, pp. 303-325.
  2. GRAF, loc. cit.