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66 PARTE PRIMA

Ma non potrei lasciarmi trarre più oltre; e laddove i fatti non sono dubbi in verun modo, laddove le cagioni di questi fatti sono aperte, io non posso, nè per compiacenza, nè per privati riguardi, tacere la verità1.

Il sostituire alla soldatesca stanziale la guardia civica nella difesa di un luogo attaccato dal popolo, egli è un favorire al trionfo di quest’ultimo. Non appena in fatti la guardia del palazzo senatorio fu essa affidata ai soldati cittadini, che la calca, tenuta pocanzi in rispetto da un drappello di truppa stanziale, passò arditamente dinanzi alla guardia civica, irruppe negl’interni cortili e fin nel vestibolo del palazzo. Il conte Confalonieri era in mezzo alla folla, e la sua voce, naturalmente sonora, faceasi talmente sentire, che il capitano Marini esortollo a recarsi a parlare al senato in nome del popolo; al che rispose il Confalonieri, non aver lui carattere ufficiale veruno che lo licenziasse a farsi organo del voto popolare.

Andava il tramestío crescendo al di fuori, e i senatori cominciavano a mettersi in apprensione. I conti Verri, Massari e Felici uscirono dall’aula, e recatisi in mezzo alla moltitudine, quella esortarono a dichiarare

  1. Così, per quanto tocca la condotta del conte Confalonieri nel giorno 20 aprile, io credo giustizia non imputare a lui l’uccisione del ministro Prina. Ma solo coll’attribuirgli un’eccessiva condescendenza potrebbesi assolverlo del pari da ogni partecipazione alla sommossa ch’ebbe per iscopo ed obbietto l’abolizione del Senato. Ventura è per lo storico, il quale non senza grave rammarico condannerebbe il Confalonieri, che, mentre il primo di quegli atti fu un misfatto, il secondo non sia stato altro che un fallo ed un errore.