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PARTE PRIMA 39

per la sua eleganza e la sua anglomania, e uomo certamente onorato e ingegnoso del pari, ma pure incapace, in quell’epoca almeno, di alcun grave pensiero, recossi a Genova dal lord Bentinck per trattare con lui del destino dell’Italia. I particolari di quell’abboccamento non mi sono punto noti; io non so altro se non che vi fu di mezzo un vessillo coi colori italiani dato e ricevuto; ma ignoro poi se sia il Trecchi che l’abbia arrecato al Bentinck per fargliene omaggio, o se il Bentinck abbiane fatto dono egli al Trecchi per inanimirlo. Questo partito, che non fece parlare di sè gran fatto, non ebbe influenza nelle cose che trattavansi allora in Milano[1].

La cura di delineare e dipingere le disposizioni degli animi in questi tempi, mi ha costretto a trasandare in quest’ultime pagine la cronologica serie dei fatti. La ripiglio adesso per non più scostarmene.

Ho detto che il vicerè era al suo quartier generale di Verona, e le truppe della Lega accampate sulla opposta riva dell’Adige. Egli vi ricevette, entrante il novembre dell’anno 1813, una lettera dell’imperatore, il quale, vedendosi rispinto ogni dì e fino nei suoi propri Stati dalle forze soverchianti degli Alleati, ingiugneva al vi-

  1. Io non vo’ già negare che l’Inghilterra non fosse in quell’epoca la potenza mossa da minor interesse a volere la perdita del regno d’Italia, e perciò quella altresì in cui più opportunamente poteva l’Italia confidarsi; ma dico che il passo fatto dal barone Trecchi presso il lord Bentinck era di niuna conseguenza: perocchè in Italia non eravi partito inglese, e l’Inghilterra, pria di prendersi briga, avrebbe richiesto non solo che un tale partito esistesse, ma altresì che fosse più potente di tutti gli altri insieme riuniti.