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PARTE PRIMA 27

cosa pubblica; lo spionaggio largamente spaziava; il segreto delle private corrispondenze era violato senza scrupolo; e le precauzioni ingiunte alla polizia e i mezzi ond’essa disponeva doveano indurre in timore che nulla di quanto riguardava lo Stato potesse ad essa rimanere lungo tempo celato. Ora che cosa doveva accadere quando il capo stesso della polizia era egli pure complice di una cospirazione? Doveva, giusta ogni probabilità, avvenire che la cospirazione ottenesse il suo intento; perciocchè l’indole stessa degli uffici affidati al capo della polizia richiedeva che la potestà di questo ufficiale fosse assoluta e disciolta da ogni sopravegghianza, o, per dirla in più precisi termini, che i suoi andamenti e la sua condotta rimanessero celati alla vista di tutti. Mi si risponderà per avventura, che il partito muratiano non potè conseguire l’intento suo, ad onta della cooperazione del capo della polizia; ma io farommi ad esporre più sotto le cagioni che vi si opposero, e dirò intanto, che questo partito dovea, per seguire l’intendimento degli stessi suoi capi, nulla tentare a Milano se non contro il governo del vicerè. Questo partito, simile in ciò a tutti gli altri che ferveano allora in Italia (tranne, ben inteso, il partito francese), indirizzava i suoi sforzi contro la potenza di già vacillante dell’imperatore e dei suoi luogotenenti. Tutti volevano aspettare il giorno dopo la vittoria per ravvisarsi, numerarsi, dividersi, combattersi, perseguitarsi e spegnersi vicendevolmente. Ben sapevano i partigiani dell’Austria che, atterrato il governo esistente, non si frammetterebbe più ostacolo tra l’esercito austriaco e Milano; e i partigiani di Murat si teneano certi, dal canto loro, che, non appena fossesi