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PARTE PRIMA 11

senza posa tribolavano quel non più esercito, ma turba d’uomini estenuati e cadenti. Ei fu sulle rive stesse della Beresina, e in quella che si dovea tentare il passaggio, che il Ciavaldini, soldato del traino, inchiodò l’ultimo cannone che rimanesse agl’Italiani, dicendo: “Tu non ci puoi più servire; ma almeno non servirai ad altri contro di noi”.

Poco stette l’imperatore a partirsene alla vôlta della Francia, lasciando a Murat il governo dell’esercito; ma questi non tardò molto a seguire l’esempio del suo signore, addossando al principe Eugenio l’imperiale vicariato. La partenza di quei due, che meriterebbe fors’anco il nome più tristo di abbandono, finì di gettar lo sgomento e la confusione fra le grame reliquie del grand’esercito. Gli ufficiali e soldati facevano a gara nell’abbandonare le insegne; o, per dir meglio, non fuvvi più corpo d’esercito, e i pochi soldati che giunsero a salvamento, fuggirono sbrancati, senz’armi, e quasi senza vestimenta, e, che fu più funesto, senza veruno indirizzamento. Giunto a Marienwerden, rassegnò il vicerè gli uomini che lo seguivano, e non ne trovò che dugentotrentatrè, di cui cenventuno ufficiali e centododici sottufficiali o gregari. Ad Heilsberg fece batter di nuovo la chiama per rassegnare le truppe, ma non vide sfilare altri alla sua presenza che quei dugentrentatrè passati di già a rivista in Marienwerden. Scrisse allora al ministro di guerra del reame d’Italia, esser l’esercito d’Italia ricisamente ridotto a quei duecentotrentatrè uomini; che tuttora sperava giugnessero due altre colonne, di cencinquanta all’incirca ciascuna; ma non rimanere altro certamente dei ventitremila trecentono-