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PARTE SECONDA 187

volte all’anno, un polizzino sottoscritto dal governatore della fortezza contenente queste parole: “Il signor (e qui il nome del prigioniero) gode buona salute”; oppure: “è ammalato”. I passi fatti da questi congiunti a pro dei prigionieri avevano un esito diverso a seconda dei casi. Agli uni si rispondea che S. M. non avrebbe indugiato gran fatto a perdonare ogni cosa; agli altri, per lo contrario, che S. M. era stata pur troppo misericordiosa per l’addietro, ed era ormai risoluta di non più usare clemenza. L’imperatore non si tenne dal venire a Milano nel 1825, ove fu assediato dalle suppliche delle famiglie involte nel lutto. Il padre di Gaetano Castillia, vecchio venerabile, e pur costante nella sua devozione inverso all’Austria, presentossi all’imperatore, il quale dissegli con affabilità: “Tranquillatevi, mio caro Castillia; io ben vi conosco per un servitore fedele, e ben presto farò per voi ciò che tanto bramate”. Andossene il vecchio, commosso, soddisfatto e quasi riconoscente; ma più anni trascorsero senza che si vedesse alcun frutto delle promesse dell’imperatore. Giunse alla fine uno dei soliti polizzini semestrali alla casa Castillia, con triste nuove dello stato di salute del prigioniero; e ciò bastò per far ammalare gravemente il vecchio genitore. Quello stesso fratello il cui sigillo era stata la causa, almeno occasionale, di tante sciagure, recossi incontanente a Vienna per rammentare all’imperatore la promessa. Fu ammesso ad udienza, e scongiurò l’imperatore a non permettere che un vecchio servitore, la cui fedeltà era stata da lui medesimo riconosciuta, chiudesse gli occhi senza poterli per l’ultima volta affisare sul caro volto del suo figliuolo minore. “Che volete?”