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186 PARTE SECONDA

atto di sommessione, ordinò che venisser calate le gelosie delle carrozze in cui eran chiusi i prigionieri. Il popolo, affollato attorno a quelle carrozze e bramoso di conoscere le nobili vittime, proruppe allora in quelle vociferazioni e fischiate, che i prigionieri tennero per fatte a sè stessi, mentre in realtà andavano a ferire l’autorità militare per la sua premura d’impedire ogni comunicazione fra il popolo stesso e i prigionieri. Duolmi invero che una tale spiegazione non sia stata data più presto ai captivi dello Spielberg, chè sollevati gli avrebbe da un angoscioso pensiero.

Noti sono gli stenti e i patimenti che ebbero a soffrire quei prigionieri. Nè niuno ignora ch’ei non poterono mai comunicare coi loro congiunti, nemmeno sotto l’invigilanza dei custodi; che il Confalonieri non ebbe contezza della morte di sua consorte se non all’uscire dal carcere, che viene a dire più anni dopo il fatto; che l’imperatore Francesco aveva a sè avocata la direzione della polizia dello Spielberg, e che i suoi prigionieri erano a lui rappresentati con cifre. Ond’è che dalla fortezza gli si scrivea, verbigrazia: “Evvi un prigioniero di meno; porremo il N.° 12 al posto del N.° 11, il N.° 13 a quello del N.° 12, e così via via”. Il che veniva a dire che il prigioniero indicato col N.° 11 era morto. E così pure niuno ignora l’affanno di quel carceriere che non volea lasciar mozzare al Maroncelli la gamba cancrenata, dicendo: “Io ho ricevuto un prigioniero con due gambe; ora che dirà mai il mio capo se glielo rendo con una gamba di meno?”

Intanto che queste cose avvenivano nelle carceri dello Spielberg, i congiunti dei prigionieri riceveano, due