durre il figliuolo alla confessione che a lui veniva richiesta, e dietro la risposta affermativa ch’ella diede, la fece introdurre nella prigione del figlio. La storia non dee toccare di quello che sia stato detto allora dalla madre e dal figliuolo, ed è suo debito di rispettare il segreto intorno a simili scene; debito tanto più facile a servare, quantochè il racconto delle medesime potrebbe solo indebolire quell’interesse che ne emerga. Fatto è che il Pallavicini, dopo la visita della madre, confessò quel tanto che gli si richiedea e ch’ei non credea ignorato ormai da veruno. Nelle prigioni dell’Austria è d’uopo eleggere tra un sistema assoluto di diniego, spinto sino all’assurdo, per cui si impugni risolutissimamente tutto quanto può, dappresso o da lungi, direttamente o indirettamente, toccare ad un fatto incriminato, e un sistema di piena confessione, per cui si rinunzi ad occultare una sola delle circostanze del fatto medesimo. Colui che spera di ristrignersi a confessare quel tanto che riguarda sè stesso, senza pregiudicare i suoi sozi, e vorrebbe usare schiettezza da un lato e dissimulazione dall’altro, è perduto; perciocchè il giudice procede a tal modo: ponendo per istabilito il fatto confessato dal reo, mette subito in campo, come conseguenza di esso, un altro fatto ch’ei fa le viste di tenere come confessato implicitamente col primo. E se l’inquisito ricusa di ammettere quest’altro fatto, gli oppone ch’ei distrugge la prima sua confessione, che pecca contro la logica, ec., insino a tanto che esso venga quasi ad arrossire del diniego. Ond’è che l’inquisito è condotto quasi per forza ad ammettere questa conseguenza della prima sua