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158 PARTE SECONDA

dovette sospirare un lungo tempo pel carcere. Due giorni dopo la strana sua domanda all’ufficio della Polizia, il conte Bolza, appressatoglisi all’uscir dal teatro, invitollo a venirgli dietro, nè lasciollo se non dopo ch’esso fu chiuso in una segreta poco lontana da quella in cui era il Castillia.

Troppo avea presunto di sue forze e di sua fermezza il Pallavicini. Schietto, generoso e disposto a prodezza, ma semplice ed ingenuo, viziato da quella levità di carattere per cui l’animo va fluttuando fra le più contrarie disposizioni, si empie oggi di matte speranze per isprofondarsi domani nello sterminato abisso della disperazione, era il Pallavicini uno di que’ tali che sono in grado del pari o di commetter le più grandi o le più nocive azioni, o di starsene inerti del tutto, secondochè portano le circostanze, e sempre senza premeditazione, tranne però il primo caso. Com’ei si vide in carcere, tosto s’accorse che la sua propria sciagura non punto alleggiava quella dell’amico, e concepì un ardente desiderio della libertà. Sua madre, da cui era amato teneramente, desiderava ch’ei fosse liberato, più ancora che nol desiderasse egli stesso; e la Polizia, o, per dir meglio, il governo, proposesi di avvantaggiarsi dei sentimenti della madre e del figliuolo. Non appena i membri del tribunale straordinario e il giudice istruttore, Menghini, vennero in cognizione della levità ed impetuosità del carattere del captivo, che prepararono le loro macchine. Obbliava di già l’Austria in quel tempo, che la faccenda non era stata ad altro fine indirizzata che a somministrarle un pretesto per prolungare l’occupazione del Piemonte e del reame di Napoli. Avendo essa