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PARTE SECONDA 133

secoli ed ha veduto nascere nelle più liete sue contrade tutta l’augusta famiglia che regge col paterno suo freno un sì gran numero di nazioni. Or questo re d’una dell’estremità dell’Italia vorrebbe traviare gl’Italiani con la speciosa idea dei naturali confini, e farli correre dietro alla fantasima di un unico regno, a cui sarebbe appena possibile assegnare una capitale: tanto è vero che la natura stessa vuol che l’Italia sia pârtita in più Stati, ammaestrandoci con ciò, non dall’ampiezza del territorio, non dal massimo numero della popolazione, non dalla forza dell’armi assicurata essere la felicità dei popoli; ma bensì piuttosto dalle buone leggi, dalla reverenza degli antichi costumi e dallo stabilimento di una parca amministrazione. Ond’è che la Lombardia ricorda tuttora con sensi d’ammirazione e di gratitudine i nomi immortali di Maria Teresa, di Giuseppe II e di Leopoldo.

Non pago d’ingannare le moltitudini eccitandole a correre dietro alla fantasima dell’independenza italiana, il re di Napoli vuol pure trarre in errore gl’Italiani poco prudenti, e indurli a credere che una segreta disposizione ad assecondare i suoi disegni nutriscano quei potentati medesimi che con meravigliosa prestezza rinnovellano ora appunto i loro formidabili armamenti terrestri e marittimi, e che bentosto con un atto pubblico daranno al mondo una pruova novella della loro unione indispensabile sotto il vessillo delle stesse massime. Non pare egli invero che, assoggettata al re di Napoli, l’Italia potrebbe chiamarsi indipendente? Chi può dubitare che i potentati non siensi fatti ormai capaci, non potersi dare nè pace nè tregua con