Convien dire che la confessione sia un atto che corrisponde a un qualche segreto istinto del cuore umano, perocchè non solo vediamo gli uomini determinarvisi agevolmente, ma anche compierla con trasporto allorchè vi si sono determinati. E invero il Gasparinetti non si ristrinse in questa circostanza a narrare i fatti noti agli altri captivi, e cui potea supporre essere stati svelati da loro; ma espose perfino i propri pensieri, le speranze ch’egli avea concepite, le parole dettegli in privato da questo o quello dei congiurati non ancora arrestati. Riferì fra altre cose che, avendo un giorno incontrato il generale Teodoro Lecchi, questi aveagli detto, stringendogli la mano: “Animo, mio caro Gasparinetti; se Fontanelli ricusa di condurci, ho buona speranza che Zucchi sottentri in sua vece”. Il che era vero; ma perchè riferirlo dacchè non era stato udito da testimoni e dacchè il generale Lecchi era tuttora libero? Questo bisogno di dir tutto spiattellatamente, anche a giudici, fu ancor più forte pel comandante Cavedoni, il quale, sostenuto pochi giorni poi ed esortato a confessare progetti già ben noti altronde, non si fece molto pregare. Dopo avere risposto alle interrogazioni fattegli, trascorse più oltre, esponendo le idee sue proprie, e come ei si proponesse d’unirsi ai rivoluzionari di Modena dopo avere aiutato il trionfo della rivoluzione di Milano. Il quale soverchio di confidenza fu poi cagione che il Cavedoni, poich’ebbe terminato di espiare in Mantova il reato di congiura contro l’imperatore d’Austria, fu consegnato nelle fiere mani del duca di Modena. Nè con ciò finirono le sue sciagure. Arrestato un’altra volta a Modena, nè meglio schermitosi dalle instanze de’ suoi