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96 PARTE PRIMA

stabiliti, e cominciavano a far le viste di non addarsi dell’esistenza dei collegi elettorali, testè tanto potenti, predisponendosi in tal guisa a dichiarirli aboliti; il che avvenne di lì ad un mese.

Le illusioni non erano tuttavia distrutte peranco pienamente. Eravi presso ai Sovrani alleati, raccolti allora in Parigi una deputazione dei collegi elettorali, e da questa aspettavasi la salvezza dell’Italia. Toccare ad essa, dicevasi, l’esporre i bisogni della contrada, e il pattuire le condizioni della sottomissione ad un novello governo. Non si poneva mente che sgraziatamente il paese erasi di già sottomesso, e che non v’era più cosa da offrire in iscambio delle instituzioni e della indipendenza richiesta.

I deputati dei collegi a Parigi non tralasciarono di affaccendarsi. Fecero visite agli ambasciatori, ai ministri; le loro proposte non erano dissennate; i princìpi che invocavano erano sacri certamente. Fuvvi uno di quei ministri (quello di Prussia, se non erro) il quale mostrossi premuroso per loro, ed abboccossi più volte con uno di essi, il conte Alberto Litta, uomo di grande ingegno e di squisitissimo garbo. “Io vorrei pure aiutarvi”, diceva un giorno quel ministro al Litta, “e parecchi de’ miei colleghi vorrebbero essi pure assicurare alla bella vostra contrada una certa quale indipendenza. Ma eccovi tutto il nodo della faccenda: potete voi tenere in arme, per poche settimane ancora, trenta o che mila uomini? Con questo puntello è facile che ottenghiate l’intento; ma senza di esso, non pensateci nemmeno”.

Mentre che siffatti discorsi faceansi in Parigi, i sol-