pone il pensiero di Clemente nel Tempio di Gerusalemme; nè lo potea per altro modo, che per quello, che dall’arte gli era proferto. Questa filosofia confonde la ragione delle belle Arti con la universale, in che veramente si contiene, ma con sue proprie condizioni. Qualunque il termine sia, al quale possa aggiungere chi dietro le dette scorte si pone in via, non avrà causa ad attristarsi di essere ito invano; è questo di tutti il caso più misero a curioso discepolo. Non sia chi stimi arte da trastullo il poetico stile. L’arte del dire, strumento efficace ad assalire e vincere le alte non che le comuni imprese, si deriva massimamente da leggere e studiare ne’ poeti sì per la piacevolezza del numero e del ritmo, che vie più dilettando ai sensi aiuta la reminiscenza, e sì pel calore degli affetti, che sono il nerbo e la vita di ogni eloquenza. Quindi il principio del tirocinio e la regola delle classi. Omero fu padre degli oratori non che de’ poeti greci e latini, Dante di tutti gl’italiani scrittori. Penso, che fosse grande ventura dello Storico dell’Asia l’essere nato là dove ebbe la cuna e la maggior fama dapprima Lodovico Ariosto. Galileo Galilei a chi celebrava la bellezza e la evidenza del dire, che splende nelle opere di lui, era usato rispondere, che la riconosceva dalla lettura dell’Orlando Furioso. A nostri dì Carlo Botta coltivò dapprima la poesia. Le schiette e sempre amabili prose del conte Giulio Perticari sono sparse qua e là di fiori raccolti nella Divina Commedia. Il Longino de’ tempi moderni G. Vincenzo Gravina dovendo proporre una regola di buoni studi, mette soli in ischiera davanti agli occhi quanti furono da Omero sino a Teofilo Fo-