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tempi e di costumi, che amica e maestra di libera creazione sdegna servitù furace di concetti e di frasi registrate, e popola d’imitatori il territorio della Republica delle lettere; per lo che, avuto riguardo alla eccellenza dell’arte e alla imperfezione degli artefici, fu chi disse: La poesia essere la dolcezza, e i poeti la noia del genere umano.

Non nacquero le arti, né le scienze come Minerva dal capo di Giove matura ed armata. Uso ed esperienza nel credibile spazio di anni cinquecento murò quell’edificio, che Omero il primo trasse a perfezione. Or che ne vieta di apporre a lucro privato publici tesori, redati dagli antichi sì, che per’ vià più corta e più sicura si giunga a meta desiderata? Non si stringono con ciò que’ confini, in cui la natura possa stendere la sua ragione, e mostrare gli effetti di sua nobile virtù, mentre per altrui insegnamento, per altrui esempio s’impara a discernere e ad amare il bello, o sia il vero dì arte e di scienza, che trovato una volta non è lecito cercare altrove; di qua, e di là stassi l’errore e la deformità. La nobile illustre favella è patrimonio comune, e divien proprio a chiunque sappia coglierne il fiore, e il seme, che germina in tanti colori, quante sono le indoli degl’ingegni e degli animi, de’ quali è specchio lo stile. Mirabile tanto, quanto rara è l’arte di chi sappia dire in modo a sè proprio e singolare, cose dette comunemente per altri. Orazio la notò nel verso:

Difficile est proprie communia dicere.

Chiunque sia nato al destino di spandere il nome col potere della divina arte della poesia coglierà